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Fin dall’Alto Medioevo a difesa di tutte le coste di rilievo della Sicilia furono erette Torri di Avvistamento per contrastare il pericolo saraceno ed ottomano.
Authored by Baron De La Vandal Via Wikipedia , History Books and Travels

Ad esempio si scopre che il nome della città costiera di Marsala proviene dall’arabo, Marsah che significa Porto, e La che dovrebbe stare per Allah, il porto di Allah.
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Comunque, le tre torri, a nostro giudizio, più significative, e ancora di una costante bellezza decadente, sono sicuramente la Torre della Tonnara dell’Ursa, la Torre di Pozzillo e la Tonnara di Scopello.
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La torre della tonnara dell’Ursa, detta anche tonnara dell’Orsa, è una torre di difesa costiera sita nel territorio tra Carini e Cinisi, che faceva parte del sistema di Torri costiere della Sicilia quale sistema difensivo di avvistamento di naviglio saraceno. Infatti le coste mediterranee erano tormentate dai corsari barbareschi e dai corsari ottomani. Successivamente la torre veniva utilizzata per l’avvistamento dei branchi di tonno per l’annessa tonnara.

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Nel 1625 la torre non era ancora completata, anche se dai registri della Deputazione del Regno di Sicilia già venivano indicati i relativi guardiani e “torrari”.
Sempre dai registri della Deputazione del Regno di Sicilia, nel 1691 si apprende che era stata affidata al Principe di Carini e che la guarnigione era composta da tre uomini in tutto, compreso l’artigliere.
Dal 1714 al 1717 sempre dai detti registri risulta che l’armamento consisteva in: 1 cannone di bronzo con affusto su ruote; 2 spingarde; 6 archibugi; 1 colubrina di bronzo (detta “masculo o mascolo”); 5 alabarde; 28 palle di cannone.
Nel 1811 è citata in quanto la sua guarnigione fu arrestata per viltà di fronte al nemico non essendo intervenuta in soccorso di un naviglio americano attaccato dai pirati.
La torre è citata nel 1823 nella cartografia ufficiale dell’esercito borbonico, ma con il nome di “torre nuova”, nel 1867 è ricompresa nell’elenco delle opere militari da dismettersi.

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La tonnara di Scopello è una delle più importanti e antiche di tutta la Sicilia; fu edificata non prima del XIII secolo e notevolmente ampliata dalla famiglia Sanclemente nel corso dei secoli XV e del XVI. Passò quindi alla Compagnia di Gesù e infine alla famiglia Florio. Si trova nel territorio di Castellammare del Golfo.
Negli anni in cui, una volta espulsi i Gesuiti, la loro quota di tonnara fu venduta a Baldassare Naselli, la gestione andò in perdita. La tonnara, passata nel 1874 in proprietà al gruppo Florio, venne ulteriormente potenziata ed ammodernata: nel periodo compreso tra il 1896 ed il 1905, il valore del pescato oscillò dai 2480 ai 1043 quintali. Nel periodo successivo si ebbero forti variazioni del pescato annuo. Per quanto riguarda il periodo che va dal 1922 al 1962, vi sono dati più puntuali. Il pescato medio annuo risulta di tonni 472, con un minimo di 30 nel 1929 ed un massimo di 1335 tonni nel 1938. Successivamente nel decennio tra il 1961 ed il 1970, lo standard normale si assestava sui 600-800 quintali annui. Negli ultimi anni in cui la tonnara fu produttiva, l’annata migliore è stata quella del 1977 con un pescato di 700 tonni. Nel 1981 la tonnara fu prescelta per sperimentazioni biologiche. Nel 1984 ci fu l’ultima mattanza, e la tonnara cessò definitivamente l’attività produttiva.

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Anche se l’usanza delle Tonnare è stata uccisa dal c.d.Progresso sarebbe bene capire, anche leggendo questo post, quanto vale il nostro Tonno Mediterraneo e quanto poteva giovare alla nostra economia la protezione ecologica biomarina ai fini di caccia di questo pesce.

La Mattanza del Tonno:

Nei mari di Trapani vengono calate le ultime tonnare siciliane, da secoli le più famose e produttive dell’intero Mediterraneo. E’ qui che in primavera si compie l’antico rito della “mattanza”, la pesca del tonno secondo metodi tradizionali ricchi di cultura e storia, un insieme di mito e religione, di leggenda e scienza. Oggi lungo le coste trapanesi che vanno da Alcamo a Mazara del Vallo sono operanti le tonnare di Favignana e quella di San Giuliano/Bonagia; negli anni ’50 erano ben dodici gli impianti attivi, ma l’inquinamento e il progressivo depauperamento della fauna ittica hanno comportato la chiusura di quasi tutte le strutture, e gli antichi stabilimenti dove venivano conservati gli attrezzi di pesca e lavorato il tonno cadono a pezzi, struggenti esempi di archeologia industriale offesi dal tempo e dimenticati dagli uomini.
La tonnara è un sistema di reti fisse calate lungo il percorso che i tonni compiono dall’inizio della primavera alla fine dell’estate alla ricerca di acque calde e dall’alto grado di salinità dove effettuare la riproduzione; tonnare “di corsa” o “di andata” sono quelle che catturano i tonni nel periodo della riproduzione (maggio – giugno), “di ritorno” quelle che catturano gli esemplari al termine del periodo genetico (luglio – agosto). Sia Favignana che Bonagia sono tonnare “di corsa”.
Una lunga rete chiamata “pedale” posizionata verticalmente rispetto alla costa sbarra il cammino ai tonni e li indirizza verso il largo, dove viene calata la tonnara vera e propria (detta “isola”): un parallelepipedo di rete diviso da porte mobili – anch’esse di rete – in più “camere”. I tonni che arrivano nell’isola vengono fatti passare da una “camera” all’altra aprendo e chiudendo le porte di rete, fino all’ultima camera, detta “della morte”, l’unica ad avere il fondo mobile. I pescatori “tonnaroti” tirano a forza di braccia la rete mobile intonando antichissimi canti, e quando i tonni arrivano a galla inizia la mattanza: dai barconi neri gli uomini li agganciano con lunghi uncini e li tirano a bordo con sforzi immani (alcuni pesci pesano oltre 400 chilogrammi). Tutte le operazioni di pesca sono guidate dal “rais”, il tonnaroto più esperto, depositario di conoscenze tramandate oralmente di generazione in generazione.
La mattanza è uno spettacolo straordinario, nel quale l’uccisione di enormi pesci non è una violenza gratuita – come la corrida – ma risponde a precise esigenze sociali ed economiche: da una buona stagione di pesca, oggi come ieri, dipendono le sorti di centinaia di famiglie (imprenditori, pescatori, rigattieri, ristoratori e anche albergatori per il richiamo che la tonnara esercita sui turisti e sugli studiosi di etno antropologia).
La tonnara italiana più antica ancora in attività è quella di San Giuliano/Bonagia (i primi atti ufficiali risalgono al 1200), dove è possibile assistere alle operazioni di pesca in un contesto non trasfigurato dalle presenze turistiche: qui la mattanza è del tutto identica a quella dei secoli trascorsi, e il tempo sembra essersi fermato sui volti scavati dal sole dei tonnaroti e sulle note delle “cialome”, i canti che accompagnano il duro lavoro degli uomini.
La pesca del tonno con le reti ha origini antichissime (ne parla anche Omero nell’Odissea); tonnare operavano praticamente in tutte le coste italiane, dalla Liguria a Trieste (alla fine del XIX secolo erano poco più di cento). Oggi oltre quelle siciliane (quest’anno riprende l’attività anche la storica tonnara “di ritorno” a Capo Passero nel siracusano) un paio di tonnare vengono calate sulla costa occidentale della Sardegna.
di Ninni Ravazza